Dopo 9 mesi dall'ultima vittoria (Halle 2013) e l'annata scorsa, ricordata come la peggiore della carriera, lo svizzero ha ritrovato in questi ultimi tornei la brillantezza dei tempi migliori da tutti i punti di vista: tecnico, fisico e mentale. Tecnico, perché ha acquisito, anche grazie a coach Edberg, il miglior servizio e un gioco a rete quasi letale; fisico, in quanto ha ritrovato la freschezza e la rapidità di dieci anni fa; mentale, per la pazienza di chiudere il punto e la tenuta degne del Federer schiacciasassi di un tempo.
Tutta questa brillantezza, intravista agli Australian Open, è esplosa soprattutto ieri in semifinale contro un certo Novak Djokovic: un'impresa ancora più di spessore considerando che ha dovuto rimontare un set al numero 2 al mondo. Ma quello che impressiona è il modo in cui ha vinto: un tennis propositivo, una prima di servizio efficacissima, volée e demi-volée impeccabili che come risultato hanno creato il match più spettacolare dell'anno e mandato in completa confusione il serbo, il giocatore più solido mentalmente del mondo. Non male per uno a cui gli era stato consigliato di appendere la racchetta al chiodo.E anche in finale contro Tomas Berdych, uno dei tennisti più fastidiosi degli ultimi tempi per Roger (gli ultimi due precedenti a favore del ceco), ha voluto alzare l'asticella perché sotto di un set e di un break ha recuperato la partita grazie a suoi marchi di fabbrica quali il servizio al centro e il rovescio lungo linea.
Così si riaggiornano i numeri da leggenda: sesto titolo a Dubai, il n°78 in carriera (staccando McEnroe al terzo posto all-time) e il quattordicesimo anno di fila vincitore di un torneo.
Ma questo è il minimo perché probabilmente abbiamo ritrovato, nella classe e nell'efficacia, quel Federer vincitore di 17 slam e in testa al ranking 302 settimane.
Quindi oggi dagli Emirati Arabi è partito un messaggio forte e chiaro: il Signore del tennis è tornato.
Nessun commento:
Posta un commento