11 settembre 2014

LA FERRARI E UN CAMBIAMENTO PIENO DI DUBBI: L'ANALISI

Nei giorni scorsi avevo parlato di rivoluzione ai vertici del tennis mondiale, ma c'è un'altra rivoluzione in atto: più rapida, più improvvisa e (per noi italiani) più importante. E' il clamoroso abbandono da presidente della Ferrari di Luca Cordero di Montezemolo.
E queste dimissioni (con tanto di buonuscita da 27 milioni) portano un violento cambio di rotta che provoca smarrimento tra piloti e tifosi e riassestamento per un team di Formula 1, oltre che ad una casa automobilistica, tra i più blasonati del mondo.
Perché Montezemolo è stato il simbolo di un periodo vincente per la Rossa, prima al fianco di Enzo Ferrari come responsabile corse nei mondiali vinti da Lauda (1975 e 1977) , poi durante i 23 anni di presidenza con 14 titoli (6 piloti e 8 costruttori) derivati dagli anni d'oro in un quartetto che rasentava la perfezione sportiva.


Ed è da questa foto che si deve partire (e ripartire): Montezemolo, grazie al suo carisma e alla sua dedizione, era a capo di scuderia eccezionale con un Ross Brawn geniale a progettare la macchina, Jean Todt a gestire dal muretto il team in maniera perfetta e Michael Schumacher, semplicemente il miglior pilota del tempo (e non solo), che finalizzava alla grande il tutto.
Invece negli ultimi tempi si è assistito ad una graduale sfiducia negli uomini che ricoprivano questi ruoli a causa dei risultati che non arrivano più (e conseguenti abbandoni degli stessi). In questa poco nobile escalation dapprima il cambio di Direttore sportivo (da Stefano Domenicali a Marco Mattiacci) a metà aprile e poi l'allontanamento di Luca Marmorini, il Direttore motori (principale problema tecnico della Ferrari attuale) a fine luglio.
Per questo, considerando i piloti di livello assoluto, la punta dell'iceberg non poteva che essere la lettera di dimissioni del presidente, maschera più che altro di un"esonero" da parte di Sergio Marchionne avvertito a Monza domenica scorsa dicendo che <nessuno è indispensabile>: fine anticipata di un rapporto vincente, visto che Montezemolo ha rivelato in conferenza stampa il suo intento di lasciare non adesso ma a fine 2015.
In tutto ciò, questo "anno zero" del Cavallino lascia tantissimi dubbi sul futuro a medio-lungo termine: Sergio Marchionne è sì un dirigente di spessore enorme, ma fino a questo momento lo si è visto solo a livello commerciale e non sportivo, inoltre il 13 ottobre, quando il cambio al vertice sarà operativo, l' a.d. della Fiat sarà a New York per lanciare il gruppo FCA alla borsa di Wall Street. Ciò vuol dire che non avrà molto tempo per la Ferrari; tempo che invece Luca Cordero dedicava nel sostenere i propri dipendenti soprattutto moralmente.
In più c'è da ristrutturare un team per intero combattendo una concorrenza agguerritissima (Mercedes docet) con persone, come Mattiacci, ancora inesperte per un ruolo su di un muretto. Un team dove l'unica certezza dovrebbe impersonare i piloti. Già, dovrebbe, perché Raikkonen non è quello del 2007 e Fernando Alonso, il top driver del team, ha sì un contratto con Maranello piuttosto rassicurante, ma non ha più i due punti di riferimento di questi quattro anni (Domenicali e lo stesso Montezemolo).
Perciò tra rivoluzioni, dubbi e finte certezze l'unica cosa davvero sicura è la passione del tifoso ferrarista che supporterà sempre una delle poche grandissime aziende ancora italiane.
Italiane... Marchionne ha detto che "la Ferrari è nata e morirà italiana". Fare come la Fiat (o meglio, la Fiat Chrysler Automobiles) sarebbe davvero troppo. Così come togliere Monza dal mondiale di Formula 1. Ma questa è un'altra storia...

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